Provate a chiudere gli occhi; all’improvviso tutto intorno a voi è silenzio, una quiete interrotta di tanto in tanto da suoni naturali come il cinguettio degli uccelli o il rumore del vento fra le fronde. Nel riaprirli scoprireste di essere stati catapultati sul culmine di uno sperone collinare alla sinistra del fiume Bormida, a poco più di 300 metri sul
livello del mare, all’ombra di un’alta torre medievale; tutto intorno un Belvedere immerso nel verde, che concede un generoso sguardo sulla vallata svelando un panorama mozzafiato sui calanchi di Montechiaro e le colline della valle circostante.
Il borgo sottostante, di chiara origine medievale, è quello di Denice: paesino che ad oggi conta meno di duecento abitanti, incastonato su un’altura fra le Langhe e l’Alto Monferrato e confinante con tre paesi astigiani (Mombaldone, Roccaverano, Monastero Bormida) e due alessandrini (Ponti, Montechiaro d’Acqui), e che abbiamo scoperto un po’ per caso, percorrendo senza meta precisa le strade che da Roccaverano ci portano sul
percorso “di casa”.
Per gli amanti delle camminate e dei percorsi naturalistici, Denice è per altro punto focale di un percorso ad anello che consente di esplorare i dintorni, che porta l’evocativo nome di Sentiero Respiro del Vento.
Seguendo il Respiro del Vento, scopriamo la storia del luogo.
E proprio seguendo la corrente di aria che accarezza e sospinge ad ogni passo, quasi a voler tracciare la rotta, ci
inoltriamo nel concentrico del borgo, lungo un percorso pervaso da uno spirito di delicata poesia, dove tutto sembra magicamente cristallizzato nel tempo ed un restauro sapiente ha saputo valorizzare, in ogni pietra, la persistenza e l’eco di quell’epoca medioevale che, dopo una probabile fondazione legata alle popolazioni di Liguri Statielli, vide succedersi, dopo il riassetto politico del basso Piemonte a seguito delle incursioni saracene dei primi decenni del 900, tutta una serie di signori.
Nel 967 Ottone I, imperatore del Sacro Romano Impero, assegnò una marca al prode marchese Aleramo, e Denice ne era compresa. Dopo circa un secolo d’unione marchionale, l’originale territorio fu frazionato tra i suoi numerosi eredi; Denice diviene allora feudo del marchese Bonifacio del Vasto e per eredità in seguito al nipote Ottone marchese del Carretto. Con l’assoggettamento al comune di Asti, Denice finisce per ricalcare le sorti dell’astense contrada sotto i provenzali, i re di Francia e la casa Savoia.
Nel XIII secolo alcune casate, a causa del frazionamento dei feudi o per i debiti o per il continuo limite imposto ai vari privilegi, finirono con il trovarsi costretti a vendere alcuni territori: questa la sorte toccata anche a Denice, che passò prima al marchese di Saluzzo e poi ai marchesi Scarampi.
Il percorso museale a cielo aperto
Ma la particolarità di Denice risiede anche nell’essersi trasformata, dal 2010, grazie ad un’idea del sindaco Nicola Papa, con la collaborazione del critico Rino Tacchella, in un vero e proprio Museo a Cielo Aperto, composto da più di sessanta opere d’arte in ceramica, realizzate da altrettanti artisti, che dalle facciate delle case dove sono permanentemente esposte, offrono l’opportunità di ripercorrere le principali produzioni nazionali ed internazionali, senza problemi di orario e gratuitamente.
Uno sforzo collettivo, composto dal sostegno delle istituzioni, dalla generosità degli artisti che hanno donato le proprie opere, dalla collaborazione di chi ha prestato aiuto nell’installazione o nel concedere l’autorizzazione delle pareti delle proprie case.
Oggi, passeggiare lungo il percorso museale corrisponde al lasciarsi sorprendere da formelle, piatti, sculture, da scovare incastonate sui muri, sotto l’ombra di un’arcata, in nicchie che appaiono improvvise mentre si lascia perdere lo sguardo fra una casa e l’altra.
Un percorso non solo artistico ma anche storico…
Denice non è però solamente museo a cielo aperto. Lungo il percorso possiamo incontrare anche numerose vestigia di quei tempi gloriosi di cui si narrava in precedenza. Naturalmente la prima è chiaramente la torre, a pianta quadrata leggermente trapezoidale, alta 29 metri; costruita in epoca medievale dai Marchesi del Carretto, di stirpe Aleramica, presenta una sommità ornata da tre file di archetti a sesto acuto, alternati da cornici a dente di sega; l’ingresso originale è ad arco acuto con architrave. Dalla sommità, a cui è possibile accedere mediante scala interna dotata di cento gradini, la vista domina l’abitato e la Valle Bormida. Scendendo dal Belvedere verso il centro abitato, si incontra, incastonata nelle mura, una formella in arenaria, un frammento rinvenuto in frazione Chiazze e raffigurante un milite rivestito di cotta stile medioevo gotico, stretta in cintola, senz’armi con abbondanti calzari.
Seguendo il percorso che abbiamo intrapreso, il prossimo edificio che si incontra è la Chiesa parrocchiale di San Lorenzo martire. Con elementi costruttivi di varie epoche, ha la facciata a capanna inquadrata da due lesene con portale centrale protetto da un semplice protiro sormontato da finestra rettangolare. Sul lato posteriore, addossato alla canonica, si leva il robusto campanile alla rustica con orologio e cuspide piramidale sorretta da tamburo poligonale. L’abside interna è abbellita dal marmoreo altare maggiore, prelevato dalla chiesa del castello Del Carretto di Ponti. Costeggiando la chiesa sulla sinistra, dopo una leggera discesa, osservando attentamente si può notare un altorilievo in arenaria con l’insegna delle arti e mestieri: vi si possono ammirare scolpite due forbici da sartore, con al centro due martelletti da calzolaio, simbolo della corporazione dei “Caligari”, un tempo assai florida nelle Langhe e nel contiguo savonese. Riprendendo il cammino, risalendo verso il comune, si ha l’opportunità di ammirare, incorporata in un sovrapporta, una stele funeraria, originariamente ritrovata nel fondovalle, forse in prossimità della via Aemilia Scauri, antica arteria romana. Di epoca augustea, è composta da due figure maschili e una figura femminile (al centro) ritratte a mezzo busto.
Nel frattempo, ad ogni sguardo si offre un arco, un anfratto, una muratura che richiamano l’occhio con un colpo di colore, forme geometriche oppure che si sviluppano con naturale fluidità, immerse nel contesto storico ed architettonico traendone forza e restituendo un senso pacato di poetica bellezza, da assaporare ad ogni passo.
… e gastronomico.
Oltre all’innegabile bellezza dal punto di vista territoriale, storico e artistico, Denice annovera alcune aziende locali, per lo più agricole ed alimentari, che rappresentano un pò tutti gli ambiti dell’economia tipica monferrina: dal Ristorante presso l’altorilievo dei Caligari, dove è possibile assaporare le migliori ricette locali gustando nel contempo uno splendido panorama al laboratorio di pasta fresca specializzato nella produzione di ravioli al plin e prodotti di gastronomia locale i cui prodotti esaltano le materie prime del territorio, mantenendo inalterata la tradizionale lavorazione artigianale esattamente come una volta;
Dall’azienda agricola specializzata nella produzione di alcuni tipi di formaggi locali come la Robiola di Denice, la ricotta di pecora e le formaggette di pecora, di capra e di mucca, realizzati esclusivamente grazie a capi di proprietà e col procedimento “a latte crudo”, all’apicultura che da più di quarant’anni produce miele dai diversi sapori e di altissima qualità, insieme ai derivati come la propoli, la cera d’api e la pappa reale.
Ed ancora, l’azienda agricola che ha la sua sede in un antico cascinale del 1629, importante centro di produzione e vendita di zafferano, nocciole ed erba medica oppure quella di più recente formazione, che produce ortaggi, cereali, foraggio e nocciole, oltre a composte, marmellate e salse rigorosamente biologiche.
Prima di lasciare il paese, è d’obbligo spingersi nell’attigua “via degli artisti“, che culmina con l’arrivo presso l’oratorio di San Sebastiano. Voluto e innalzato dalla Confraternita di San Carlo, risale al 1513. La struttura architettonica attuale risulta composta da linee semplici, al suo interno vi si conserva una lapide datata 1630, alcuni dipinti raffiguranti simboli ecaristici sacramentali con le effigi dei Santi Giovanni e Paolo e un dipinto dedicato a San Sebastiano.