Qualche tempo fa, in uno dei miei soliti giri per colline alla ricerca di luoghi dove potersi fermare a riempire gli occhi di quel bello che ci circonda, pur rimanendo nell’astigiano, mi sono spinta verso quel confine dove il Monferrato e la Langa iniziano a confondersi, alla scoperta di un piccolo paese medievale, Montabone, da poco tornato all’onore delle cronache, dopo l’inserimento nella buffer zone Unesco dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte, grazie all’intervento pittorico dell’artista cinese Zhang Enli che ha trasformato la chiesetta barocca di San Rocco in un’opera d’arte contemporanea e che ha acceso la curiosità ( e spesso anche le critiche più feroci) di molti piemontesi e l’interesse dei tanti turisti.
Per poter esprimere un parere, bisogna necessariamente toccare con mano questo intervento, che non è certo nuovo nel nostro territorio, che può annoverare fra i suoi più illustri predecessori la cappella del Barolo di Sol Lewitt a La Morra e quella del Moscato ad opera di David Tremlett a Coazzolo, sulle quali avremo sicuramente modo di tornare per un approfondimento.
Arrivando a Montabone.
A Montabone, piccolo gioiellino dell’astigiano arroccato sulla cima del colle da cui prende il nome, si arriva inerpicandosi fra colline che hanno già l’asprezza dal profumo di Langa, domesticate dalle famigliari linee geometriche delle vigne.
Lungo la strada, i fiori bianchi del sambuco si stanno ormai appannando nel loro sfiorire, lasciando spazio al rosso dei papaveri che sfuggono dai campi di grano, e che fanno da contro canto al vermiglio acceso dal sole delle ciliegie che stanno maturando sui rami. Tutto intorno, il paesaggio, a saperlo decifrare, ci racconta di un connubio di clima e terreno che han favorito una forte diversificazione colturale.
Come già accennato, i versanti accolgono numerose vigne, ma accanto a queste si possono incontrare boschi, campi di cereali, prati, noccioleti; a guardarsi intorno, le arnie lasciano immaginare mieli profumati, gli animali al pascolo presagiscono formaggi di cascina, e lasciando correre il pensiero, già si può pregustare l’idea di un invernale desco imbandito con polenta di antiche varietà di mais, focacce e torte di nocciola..
Una passeggiata nel centro del paese.
Lasciata l’automobile sulla piazza del concentrico, dove probabilmente una volta doveva sorgere il castello, e dove ad accogliere il visitatore è l’imponente svettare del campanile della parrocchiale di Sant’Antonio Abate, decido, prima di recarmi alla chiesetta dipinta, di addentrarmi nel paese, verso l’arco di entrata, prima di proseguire per il breve tratto che separa il nucleo abitato dalla chiesetta sorridente di San Rocco. Tira un’aria fresca, che fa dimenticare il caldo estivo che solo un paio di paesi più in là verso valle opprime con la sua insopportabile cappa di umidità, e soprattutto, il venticello fa smuovere ritmicamente alcuni oggetti esposti in uno dei cortili che si affacciano sulla piazza. Una sorta di wunderkammer contemporanea che l’aria fa suonare in un concerto di suoni che il silenzio rende surreali e poetici.
A guardarsi intorno, nella quiete che ci circonda, pare di essere scivolati in una piega del tempo, in un lembo malcucito che attraverso un varco ci ha concesso di ritrovarci in epoca medievale.
Ed in effetti questo è uno dei borghi meglio conservati della zona, e indubbiamente l’inserimento nella buffer zone UNESCO non può che aver contribuito alla volontà di mantenere o ripristinare, restaurare ed innovare.
Un borgo ricco di storia.
Camminando per le vie è impossibile non intuire la ricchezza delle vicende storiche che deve aver attraversato il paese; in effetti le sue origini sono antichissime, riconducibili forse ad un nucleo germanico di epoca alto medievale, a cui con ogni probabilità doveva far riferimento il
castello ormai del tutto scomparso.
L’ingresso in paese, nella sua parte bassa, è determinata dall’attraversamento di un’antica e pittoresca porta urbica ad arco, vestigia dell’antico sistema difensivodel ricetto. A pochi passi dalla porta, subito a fianco del municipio, possiamo incontrare la chiesa dei Disciplinati, o della Confraternita dei Battuti, dedicata alla Santissima Annunziata. Un edificio oggi in disuso, ma che mantiene traccia dell’originario impianto cinquecentesco. Proseguendo la risalita verso la piazza, fra gli edifici in pietra restaurati con perizia si può ancora vedere un antico pozzo comune, ancora funzionante.
Giunti alla sommità della salita, ad accoglierci è l’edificio sacro forse di maggiore interesse: la
parrocchiale di Sant’Antonio Abate, di evidente struttura barocca, nonostante la facciata risenta
fortemente degli interventi novecenteschi che l’hanno portato all’attuale rivestimento in
travertino. La preziosità dell’edificio, per gli amanti dell’arte, risiede soprattutto nel semplice interno, che però custodisce alcune tele interessanti, alcune delle quali attribuite al pittore Guglielmo Caccia detto il Moncalvo.
Verso la chiesetta di San Rocco
Il nostro giro si può dire ormai concluso in paese, possiamo dedicarci alla meta che ci eravamo
prefissati con questa gita. Arrivare alla chiesetta di San Rocco è agevole in auto, ma ancor più consigliato è percorrere il relativamente breve percorso a piedi, attraverso la via che conduce dalla piazza verso via San Rocco, imboccata la quale dopo qualche centinaio di metri inevitabilmente si giunge ai piedi dell’edificio.
Edificata nel XVIII secolo, in stile barocco rustico, con facciata a capanna ingentilita da lesene
laterali e da un oculo polilobato al centro, sorge in posizione panoramica, circondata da vigneti di Brachetto d’Acqui.
Per secoli, le linee semplici che la caratterizzano, hanno scrutato il paese dirimpetto, lasciandosi scorrere addosso il tempo, il sole, il vento, la pioggia, che hanno via via scolorito l’edificio, rendendolo un po’ anonimo ed ingrigito, mollemente adagiato sul bordo della strada.
Un progetto internazionale di “Art Mapping Piemonte”
Quella che oggi invece ci accoglie è una struttura riportata ad un nuovo splendore. “A cheerful person” fa parte del programma di interventi di “Art Mapping Piemonte“, progetto nato dalla volontà della Regione Piemonte e realizzato con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, con l’intento di invitare alla scoperta dell’arte contemporanea, soprattutto quando questa si presenta in contesti alternativi ai percorsi artistici tradizionali. Il progetto, prodotto da Fondazione Torino Musei e a cura di Ilaria Bonacossa, prevede la realizzazione di tre installazioni site-specific che include questa di Montabone e, parallelamente, una mappatura delle opere artistiche ritenute più significative fra quelle che costellano il territorio regionale. Il risultato del lavoro si è concretizzato ulteriormente in una guida, curata per Artissima da Vittoria Martini, prodotta e distribuita grazie alla collaborazione con Artribune e che accoglie anche indicazioni enogastronomiche fornite da Gambero Rosso.
Corre l’anno 2019, e a dirlo oggi pare di parlare di un’epoca lontana, quando i primi progetti di
rifacimento della decorazione esterna di San Rocco giungono dallo studio pittorico di Zang Enli, da Shangai, dove il pittore ed artista cinese vive e lavora, fino al Piemonte.
In questi bozzetti, il lavoro proposto appare leggermente diverso da quella che poi si è rivelata l’ultima stesura; in una visione frontale una delle proposte offre una facciata quasi camouflage,
giocata sui toni del verde e del marrone, in cui macchie di toni diversi si mescolano come chiome, cespugli, lembi di campi, attraversati e potentemente illuminati da lampi di giallo e squarci di blu. In un’altra versione l’intervento prevedeva l’espansione pittorica anche sul lato della chiesa che guarda alla strada, e su un accecante fondo bianco si sarebbe sviluppato un intrico verde di rami, cespugli, alberi.
La scelta finale del progetto da realizzare.
La scelta è poi caduta su una decorazione coloratissima, anche se i toni, mai utilizzati nella lorocomponente primaria, non risultano così eccessivi come può sembrare in fotografia, comunicando un calore vibrante che a verderla oggi, in primavera, nel bel mezzo dell’esplosione dei verdi tipici della stagione, la rende gioiosamente protagonista della scena,
dove si staglia spiccando sul fondo azzurro del cielo.
In autunno, provo ad immaginare, i rossi cupi, l’arancione e il giallo, che cromaticamente prevalgono, andranno ad armonizzarsi con l’arrossare delle viti, con l’ingiallire delle chiome, confondendosi con il paesaggio circostante, via via illuminandolo fino all’arrivo dell’inverno, dove sarà nuovamente unica protagonista nella natura spoglia, alla quale opporrà serenamente il suo sorriso immutato e fermo nel tempo, che la caratterizza fin dal titolo, appunto : A cheerful person.
Qui, nel vento e nel verde, avvolti dai colori di questa chiesetta campestre che sembra sfidare i
detrattori con infantile serenità e fermezza, ci fermiamo a guardare il paesaggio prima di
prendere la strada del ritorno. Anche se a onor del vero ancora un po’ di tempo ai dintorni lo si potrebbe dedicare.
Altre curiosità da scoprire.
Ad esempio, in posizione panoramica poco fuori dal paese, si potrebbe raggiungere la chiesa di San Vittore, isolata nel silenzio del bosco e dedicata al martire soldato della Legione Tebea. L’edificio è interamente in pietra, ad aula unica, e presenta un profondo portico sotto il quale, in una nicchia, è conservata una antichissima statua in pietra.
Gli amanti delle passeggiate avrebbero occasione di percorrere i sentieri tutto intorno, dove lasciarsi sorprendere da grandi statue raffiguranti persone ed animali, realizzati in cemento dall’inventiva dell’impresario edile in pensione Pietro Nicala, alcune delle quali si
possono già incontrare lungo le vie del paese. Oppure, per i sempre più numerosi appassionati, andare alla ricerca della big bench bianca e blu, installata a Montabone nel 2020, esattamente dieci anni dopo la prima, posizionata a Clavesana dall’ideatore, il designer Chris Bangle, nel 2010.
Prima di lasciare Montabone, un ultimo istinto ci spinge a osservare meglio in un punto poco distante. Come a salutarci prima di andare via, dalle inferriate della chiesa di San Sebastiano, fa capolino una statua, che ci guarda consumata dal tempo, quasi un invito silenzioso a dare uno sguardo all’interno un po’ diroccato nel quale sembra dimorare suo malgrado. Chissà quale sarà la storia che sembra voler raccontare? Forse, un giorno, la scopriremo.