Percorrere i saliscendi di queste nostre colline offre sempre occasione di scoprire, a volte all’improvviso, nuovi angoli nei quali si annida una bellezza inaspettata.
È il caso di Bubbio, piccolo centro posto al bivio delle antiche strade romane fra Langa astigiana e Valle Bormida, dove storia, architettura e arte contemporanea si coniugano perfettamente ad un paesaggio di suo già ricco di fascino.
Storia, Architettura e arte contemporanea

Dicevo, storia: perché si ritiene che il nucleo abitativo fosse attivo fin dall’epoca romana, benché la prima menzione scritta riferita a Bubbio risalga al 1142. Fra il 1200 e il 1464, anno nel quale al paese verranno concessi gli statuti comunali, il territorio vedrà alternarsi il domino del marchesato di Saluzzo e quello del marchesato di Monferrato. Nel Settecento, dopo una resistenza perdurata per lungo tempo, Bubbio viene incluso entro i confini del Piemonte e della dominazione sabauda.
Ma anche architettura, come testimoniano il castello, la cui attuale struttura tardo settecentesca sorge dove un tempo svettava il maniero di origine duecentesca, distrutto nel Seicento a seguito del passaggio delle truppe spagnole; o la chiesa parrocchiale dell’Assunta, sobria pur nell’andamento modulato e mosso tipico dello stile barocco, caratterizzata dai mattoni a vista. Entrambi gli edifici delimitano la trecentesca Via Maestra, che mantiene tutt’ora le caratteristiche antiche, con le vecchie case disposte ai lati e un concentrico dove archi, scalinate, vicoli e contrade creano scorci fortemente suggestivi.
Il Novecento ha lasciato i suoi segni in paese in più riprese. Il castello, nella sua parte abitativa, risente dello stile neomedievale tipico del XIX secolo, epoca nella quale venne restaurata, cosí come ugualmente se ne può ravvisare l’influsso in Casa Zisa, edificio del secolo scorso in pietra viva e mattoni, con elegante portale sovrastato da un artistico portichetto ornato da un putto in terracotta.
Il parco scultoreo Quirin Mayer

Quello che davvero non ti aspetti, nonostante tutto, è l’irruzione gioiosa dell’arte contemporanea in un contesto così “storico”. Eppure non è operazione nuova, anzi ormai potrebbe considerarsi una consuetudine quella di veder coniugata l’arte moderna, anche astratta, in contesti fortemente caratterizzati da architetture medievali o settecentesche, tipiche dei nostri borghi, in una simbiosi che nel forte contrasto trova tuttavia una forma di pacifica continuità.
Ne sono esempi, fra i più noti, gli interventi artistici di Sol Le Witt e David Tremlett sulla Cappella delle Brunate a Barolo, o quelli del solo Tremlett a Coazzolo, il parco d’arte Quarelli a Roccaverano o il più recente intervento dell’artista cinese Zhang Enli a Montabone.
Nel caso specifico di Bubbio due sono gli esempi di inserimento artistico e recupero degni di rilevanza.
Il primo, visitabile in regione Sant’Ippolito, è il Parco Scultoreo Quirin Mayer, spazio d’arte en plein air composto da cinque terrazzature che ospitano permanentemente una ventina di sculture metalliche dell’artista svizzero, classe 1927, venuto a mancare nel 2020, dopo una lunga e densa vita dedicata all’arte. Le sculture che costituiscono il parco, realizzato nel 2009 dall’artista stesso, profondamente innamorato di questo angolo di mondo, sono soggetti che si trasformano, nel plasmarsi della lastra metallica, in figure astratte rivestite di colori accesi che si fondono con il paesaggio circostante. Il parco non è però l’unico regalo che la famiglia Meyer ha consegnato alla comunità di Bubbio.
Ma facciamo un passo indietro nel tempo.
Fra il 1956 ed il 1959 viene costruita una cantina, utilizzata dall’Enopolio di Bubbio per la raccolta ed il deposito dei vini prodotti nella Valle Bormida. Come molte altre cantine sociali, anche l’Enopolio subisce un lento declino, fino ad esaurire il suo corso intorno agli anni Settanta.
Il contenitore vuoto, per un certo periodo, viene preso in considerazione per essere convertito in supermercato. Ed è qui che la famiglia Meyer entra in gioco, dapprima nel 2013, dando il via ad un restauro che ne conservasse la struttura originaria, con rigore filologico e rispetto dell’archeologia industriale, fattore troppo spesso trascurato allorché si mette mano ad edifici dismessi, e successivamente nel 2023, allorché viene inaugurato il SAB, Spazio Arte Bubbio. Un luogo per ospitare la collezione delle sculture di Quirin Mayer, ma anche uno spazio per promuovere incontri ed eventi, mostre e quanto possa favorire la valorizzazione degli artisti, soprattutto del territorio.
Qui approdo con una certa casualità, in parte impreparata, a dire il vero, a quello che mi attende: ho appuntamento con Sandra Rauti, direttrice artistica di SAB che, insieme all’artista e curatore Paolo Bonfiglio, coordina questo spazio espositivo, per parlare di teatro. In realtà, varcata la soglia del SAB, sembra di non essere più a due passi da casa, su di una collina della langa astigiana, ma in una galleria d’arte che potrebbe essere tranquillamente in una qualunque capitale europea. Parleremo di teatro, ma prima, voglio perdermi per un po’ in questo universo astratto appeso alle pareti.
Mutazioni Furtive, una mostra di René Mayer.

Attualmente è in corso infatti la mostra “Mutazioni Furtive”, dell’artista René Mayer, figlio di Quirin. Spesso nei confronti dell’arte astratta e contemporanea ancora ci si attiene al presunto limite che per sua intima natura il suo linguaggio sia inevitabilmente intellettuale. Eppure, se si elude la prima necessità, quella si, intellettuale, di voler ravvisare nell’astrazione una matrice figurativa, dare un nome riconoscibile alle forme che si osservano, si scoprirà che forme e colori, combinazioni cromatiche e geometrie parlano ai sensi visceralmente, facendosi comprendere ad un livello ben più profondo delle semplice razionalità. Dal bianco ottico delle pareti emergono trenta delle realizzazioni artistiche più recenti dell’autore, che in questa serie, Mutazioni furtive, che dà per altro il titolo all’esposizione, usa un unico oggetto reale in gran quantità e ripetuto in modo seriale, dalla forma rotonda: le fiches in plastica che si usano nei casinò al posto del denaro.
Attira in prima istanza il titolo stesso, quell’unione di mutazione e furtività che lascia un poco col fiato sospeso, l’impressione di entrare in un mondo dove qualcosa stia avvenendo, sottotraccia, e si sia invitati in qualche modo a cercarne gli indizi, in silenzio, con i sensi all’erta. Ci si aggira quindi alla ricerca di qualcosa, e si inizia ad osservare questa marea di cerchi colorati che a debita distanza fingono di essere geometrie accattivanti dalle palette cromatiche più disparate.
Ma ad avvicinarvisi, ecco che si coglie qualcosa, quello che da lontano sembra uniforme ora rivela la sua singolarità, ogni fiche è diversa da quella che la precede, a volte quasi impercettibilmente, ed ecco che al di là di quello che si vede con l’occhio, sorge la consapevolezza di aver colto la furtività del mutamento. Di farne, in certo qual modo, parte. Perché la mutazione genera movimento, il movimento genera azione, l’azione genera conseguenze, le conseguenze altre mutazioni.
Ed infatti, successivamente, leggendo le note critiche del curatore della mostra, Luca Beatrice, e il materiale informativo disponibile allo spazio SAB, trovo riscontro di questa sensazione, e molto altro:
Per l’artista (le fiches) simboleggiano «l’irresponsabilità della nostra civiltà – spiega -. Giochiamo con la terra come se fosse un casinò, ma in questo gioco siamo perdenti». Al centro della sua riflessione c’è dunque l’ambiente: le impercettibili Mutazioni furtive sono quei piccoli comportamenti quotidiani a cui non si presta attenzione ma che invece, a metterli in fila ordinati come fiches, risultano la concausa di numerosi ed evitabili disastri.
Un lavoro certosino svolto con perizia artigiana.
La pittura astratta dell’artista svizzero nasce proprio qui, nella Langa astigiana, nel Sud del Piemonte, luogo del suo “buen retiro”.
Qui a Bubbio costruisce le sue opere pittoriche con perizia artigiana, in un esercizio di concentrazione solitaria immerso nel paesaggio. Affronta il legno del telaio, stende il tessuto e prepara la vernice con operazioni artigianali, poi pone il supporto in orizzontale e utilizza l’acrilico mescolato a pigmenti in polvere e realizza le sue opere strato dopo strato, passaggio dopo passaggio.
I gettoni da gioco vengono gradualmente coperti da un secondo colore, in modo quasi impercettibile e posizionati sulla tela con precisione millimetrica.
Informazioni pratiche sulla mostra e la programmazione del SAB.
Il SAB (Spazio Arte Bubbio) lo trovate in Regione Giarone, a Bubbio.
La mostra sarà visitabile, ad ingresso gratuito, fino al 18 di agosto con i seguenti orari: dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00, e su appuntamento; chiuso il lunedì
Per info: tel. 349 5760288 oppure sul sito spazioartebubbio.
La programmazione è varia, prevede quattro esposizioni annuali, inframmezzate da eventi estemporanei. Questo 2024 ad esempio, al termine della mostra di Meyer, vedrà avvicendarsi dal 1 settembre al 13 ottobre il Salone del Contemporaneo: mostra mercato, laboratori d’arte, occasione di conoscere le realtà artistiche territoriali; e da venerdì 25 a domenica 27 ottobre Artasting/ Assaggi d’Arte: incontri tra arte ed enogastronomia.
Ma, come si diceva, molti eventi più o meno estemporanei possono prendere vita ad arricchire ulteriormente questa proposta artistica: ad esempio, fra gli appuntamenti più prossimi, sabato 13 luglio alle ore 18.00 l’attrice Alida Ciotti offrirà l’opportunità di immergersi nella lettura di uno degli scrittori più acclamati del momento, interpretando alcuni brani tratti da Il colibrì di Sandro Veronesi.
Il gesto magico di Boggeri ritorna, a Monbaldone.
Primo appuntamento dell’anno al SAB è stata una personale di Vito Boggeri, dal titolo Il gesto Magico, inaugurata a marzo e conclusasi a maggio scorso. La mostra comprendeva 26 tavole dedicate al libro Baudolino di Umberto Eco. Sandra, sfogliando il catalogo opera del professor Gian Luigi Ferraris, racconta di un artista il cui percorso nasce e cresce nell’ambito dell’informale, per poi collocarsi all’interno di una dimensione che l’autore stesso definiva di realismo magico.
Mentre seguo la voce parlare di cartone e sabbia come materiali prediletti, di pittura bambina intesa come ricerca di autenticità primigenia del gesto, davanti agli occhi mi scorrono le fotografie del catalogo, immagini dal tratto delicato e fiabesco riportano alla mente reminiscenze del corpus delle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino, che per altro furono di ispirazione per il lavoro di Boggeri. Chi, come me, fosse incuriosito e non avesse avuto modo di godersela nel corso dell’esposizione al SAB, non disperi, perché può rimediare a partire da sabato 20 luglio alle ore 18.00, quando verrà inaugurata da AL51PUNTOLAB, presso la sala mostre della biblioteca civica di Mombaldone, una nuova esposizione delle tavole di Boggeri congiunta alle sculture in ferro di Gianfranco Oddone.
Per ora, ci fermiamo qui. D’altro canto a Bubbio ero giunta per parlare di teatro ma, questa, è un’altra storia. E torneremo a parlarvene più avanti, a tempo debito.