Cosa porta uno scrittore sulla strada giusta, che lo condurrà a narrare una vicenda piuttosto che un’altra? A volte sembrerebbe trattarsi di quell’apparente evoluzione di casi che si intrecciano e che chiamiamo destino. Come, ad esempio, nel caso dei due volumi di cui vi consigliamo oggi la lettura, “Quel che abisso tace” e “Quel che onda divide“, della scrittrice casalese Maura Maffei, editi da Edizioni Parallelo45 nel 2019 e nel 2022.
Due libri, autonomi e autoconclusivi, incentrati però sulla stessa tragica vicenda, vissuta e fatta rivivere al lettore attraverso le voci delle vittime e dei sopravvissuti. Una vicenda che ancora oggi rimane celata ai più, lontana dalle pagine dei libri di storia che non ne hanno tramandato memoria e che solo la caparbietà dei parenti ha saputo via via far riemergere dall’oblio, nel tentativo di rendere giustizia ai passeggeri dell’Arandora Star.
Iniziamo dunque dal fatto storico, lo scenario degli eventi dai quali la mano della scrittrice trarrà le vicende narrate nei due romanzi, che aderiscono al manzoniano richiamo del vero come soggetto, dell’utile come fine, dell’interessante come mezzo.
Arandora Star: una tragedia dell’immigrazione.

Costruita da Cammell Laird & Company, Limited per la Blue Star Line nel 1927, ed inizialmente chiamata semplicemente Arandora, dal 1927 al 1928 fece rotta tra Londra e la costa est del Sud America prima di essere riarmata come nave da crociera di lusso e chiamata Arandora Star. Nel luglio del 1940, il transatlantico viene riconvertito in nave da trasbordo prigionieri. ed è in questa prospettiva che l’Arandora Star diviene protagonista di una vicenda che pur muovendo le mosse dalle coste inglesi, comprende una non indifferente percentuale di storia italiana, e piemontese, e monferrina.
Il 10 giugno di quell’anno l’Italia dichiara guerra alla Gran Bretagna. I nostri connazionali emigrati nel Paese divennero da un giorno all’altro nemici e potenziali spie. Gli internati erano cittadini italiani e austriaci di sesso maschile, molti immigrati nelle Isole britanniche da decine di anni, tanto da annoverare parenti, anche figli, militanti nell’esercito britannico, incarcerati perché ritenuti fiancheggiatori di Italia e Germania. A tutti vengono negati i diritti civili e politici, compresi quelli riconosciuti ai militari secondo la Convenzione di Ginevra, a molti vengono confiscate le proprietà. Ai familiari non perviene notizia alcuna dei parenti arrestati e deportati. Per disposizione del governo britannico, le famiglie degli internati residenti sulla costa, senza sostentamento e assistenza, vengono costrette a trasferirsi nelle città. Il 1º luglio 1940, la nave sotto il comando di Edgar Wallace Moulton salpa da Liverpool senza alcuna scorta, facendo rotta verso il Canada per trasportare in un campo di prigionia circa 1500 uomini: se si escludono 86 prigionieri di guerra, gli altri uomini erano civili tra i 16 e i 75 anni, in una nave sovraccaricata senza il minimo rispetto del rapporto massimo passeggeri per lancia di salvataggio. I prigionieri vengono ammassati nelle cabine, sul pavimento della sala da ballo, tenuti a bada da recinzioni di filo spinato. La nave, senza giustificazione funzionale, era stata ridipinta di grigio, e completamente priva di segnali che potessero farne identificare la funzione, come il simbolo della Croce Rossa. Né all’equipaggio, un equipaggio ricordiamo, da nave da crociera, né agli internati vengono date istruzioni sulle procedure d’emergenza.
Il 2 luglio 1940, al largo della costa nord-ovest dell’Irlanda, L’Arandora Star viene colpita da un siluro lanciato dall’U-Boot U-47 in forza alla marina tedesca. La livrea grigia, che fa sembrare la nave da crociera un mercantile provvisto di armi in dotazione alla marina britannica, trae in inganno. La nave, ormai priva di potenza motrice, affonda in trentacinque minuti. In quei trentacinque minuti, nonostante gli sforzi congiunti dell’equipaggio e dei prigionieri militari, persero la vita più di ottocento persone, oltre 400 delle quali italiani.
Una Storia, tante storie.
Nel primo volume, alla fine di giugno del 1940, nel campo di internamento di Whart Mills, dove sono detenuti centinaia di italiani civili, uomini che da anni vivono in Gran Bretagna e che la dichiarazione di guerra dell’Italia fascista ha reso nemici, si intrecciano le vicende di Guido, arrestato nell’imminenza della nascita del figlio, di Innocente, cui hanno sottratto il violino da concertista, di padre Gaetano, che trascorre le notti recitando il rosario, di Enrico, famoso tenore dell’epoca, di Cesare, il cinico direttore del Piccadilly Hotel di Londra, e di tanti altri. E poi c’è Oscar, che le guardie trattano con durezza perché è mezzo irlandese. In una domenica afosa, vengono tutti caricati su un transatlantico in procinto di salpare da Liverpool per chissà dove. Si tratta dell’Arandora Star, che all’alba del 2 luglio 1940 incontrerà il proprio destino. Quando il sipario della Storia sembra essere calato per sempre, cambia lo scenario e l’azione si sposta in Irlanda. Una famiglia del Mayo accoglie un giovane che ha perso la memoria. E saranno l’amicizia e la generosità degli irlandesi, insieme con l’amore profondo di una ragazza dai riccioli rossi a pronunciare l’ultima parola su un evento tragico e dimenticato della Seconda Guerra Mondiale.
Nel secondo volume, lo sguardo si sposta dal versante delle vittime a quello di chi è rimasto a casa, ignaro, attendendo notizie che non arrivavano mai. La storia vede protagoniste in questo caso in special modo le donne: è l’esempio della protagonista, Ciara, decoratrice nella rinomata fabbrica di porcellane di Belleek, sorella di un prete cattolico e, da un anno, fidanzata con uno straniero: Stefano, italiano che, a sorpresa, l’ha chiesta in moglie. Ma il giorno fissato per le nozze, mentre una folla di curiosi mormora in chiesa, lui non si presenta e Ciara rimane sola davanti all’altare. Ferita e umiliata, a questo punto pretende una spiegazione e decide di affrontare l’uomo che l’ha ingannata. Parte così per Glasgow, dove Stefano vive. Ciò che scoprirà non sarà un banale tradimento ma il dramma di migliaia di italiane e di italiani che, allora, vivevano da emigrati nel Regno Unito. La storia degli uomini deportati, così ben definita nel precedente volume nelle voci dei protagonisti, qui si arricchisce di sfumature che uniscono al romanzato il dato epistolare, ricostruendo di fatto anche le emozioni delle tante famiglie che in quel naufragio, hanno perso padri, fratelli, mariti, figli.
Chiedevo, all’inizio dell’articolo, cosa porta uno scrittore sulla strada giusta, che lo condurrà a narrare una vicenda piuttosto che un’altra? Nel caso di Maura Maffei si tratta di un insieme di fattori che la accompagnano fin da bambina, a partire dai racconti sentiti tante volte dalla nonna materna Teresina e della zia Maria che riferivano di un cugino adorato: Cesare Vairo, direttore del Piccadilly Hotel di Londra, sino al 10 giugno 1940, quando viene deportato sull’Arandora Star e trova la morte tra i flutti nel naufragio. La vicenda sembrava affondare nelle pieghe della storia, un fatto quasi leggendario, finché un riferimento trovato casualmente in un libro non fa scattare in Maura un campanello: inizia una sequenza di contatti che la potano a ricostruire, meticolosamente, tramite anche il dialogo con alcuni sopravvissuti e con i parenti dei defunti, quella vicenda, seguendo un moto dell’anima che come parente più prossima e come narratrice si è sentita in dovere di perseguire, per preservare il ricordo e restituire la giusta dignità che una fine iniqua e ignobile ha sottratto a Cesare e a tutti gli altri.
Maura Maffei: non solo scrittrice.
Se vi capitasse di avere l’opportunità di presenziare alla presentazione di un suo libro, non lasciatevi scappare l’occasione: è anche un’oratrice appassionata, che sa comunicare con grande emozione ed empatia nei confronti delle vicende dei protagonisti delle vicende da lei narrate. Preparata dal punto di visto storico, vi saprà condurre nelle storie senza mai essere pedante o didascalica, regalandovi il piacere di desiderare di approfondire ulteriormente la materia.